L'emozione della paura nel 21mo secolo. Riflessioni con Frank Furedi
Cosa c'è di speciale nel modo in cui abbiamo paura nel ventunesimo secolo? Cosa c'è di diverso dal modo in cui i nostri genitori e i nostri nonni avevano paura nel passato?
Noi parliamo sempre di più della paura, usiamo questo termine sempre più spesso nei nostri discorsi, a tal punto da avere anche adottato un gran numero di rituali di paura: l'hostess che prima del decollo dell'aereo ci spiega dettagliatamente le procedure in caso di incidente, l'insegnante che all'inizio dell'anno scolastico informa gli studenti sulle procedure in caso di incendio o evacuazione... sono procedure utili a ricordare i comportamenti corretti da adottare nel caso in cui un rischio si concretizzi. Tuttavia questi "rituali di sicurezza" ci ricordano di... avere paura.
Altri messaggi sono meno riconoscibili: "se sei stato disturbato o agitato da questo programma televisivo, chiama il numero...". Insidiosamente, manipolano le nostre emozioni ricordandoci: "Hai avuto paura? Dovresti averne".
In questo sito si parla molto di rischi. Dove è la differenza? Negli obiettivi: chiarire i meccanismi della paura, perché non sia più fine a se stessa e scuotersi dall'impotenza (o dal fatalismo), imparando che i pericoli possono essere prevenuti, affrontati e superati per una vita migliore.
La paura in sé non ha necessariamente connotazioni negative. Vedremo altrove che cosa sia più esattamente la paura e che funzione ha nella nostra vita. In questo articolo ci interessa indagare il suo modo di manifestarsi nella realtà contemporanea e se, e come, essa sia una emozione manipolabile al fine di raggiungere determinati scopi.
Credo sia importante ricordare che la paura è culturalmente definita: ogni società, ogni cultura, ha un approccio differente verso la paura. Ad esempio, nell'Europa medievale, la paura non era una brutta cosa: molte persone, specialmente di inclinazione religiosa, sostenevano che la paura di Dio fosse una virtù positiva.
Attraverso il tempo, ogni generazione ha paure diverse: negli anni Trenta del secondo scorso le persone erano impaurite dalle condizioni economiche precarie dalla disoccupazione. La paura che ha dominato gli anni Cinquanta e Sessanta era la possibilità di una guerra nucleare.
Esiste una paura specifica dei nostri giorni? qual'è. E, in una prospettiva sociologica, a che cosa serve?
Furedi riconosce sette caratteristiche della paura contemporanea.
La più interessante è che la paura, per la prima volta nell'esperienza umana, è diventata un problema in sé stessa. In altre parole, la paura si è distaccata da qualsiasi oggetto specifico, qualsiasi punto focale tangibile.
In Inghilterra, la polizia impiega più uomini e tempo a combattere la paura del crimine, che il crimine stesso. È ciò che viene chiamato gestione dell'emozione. Questo indica che la paura del crimine si è distaccata da quello che fanno gli stessi criminali.
La stessa cosa accade a proposito del terrorismo. La paura che abbiamo del terrorismo è eccessiva rispetto agli atti terroristici che effettivamente accadono. Esempio analogo è quello della paura delle malattie: moltissime persone assumono farmaci per controllare la paura di contrarre malattie (ipocondria, o, più genericamente, ansia).
Viviamo in una cultura dove la paura stessa si è separata e distaccata dai motivi che possono innescarla.
Una seconda caratteristica importante è che la paura è una emozione fluttuante, che cambia rapidamente oggetto e motivo: lunedì posso tranquillamente alzarmi, fare colazione, e ricevere dai giornali del mattino un input che mi induce ad avere paura dell'influenza aviaria. Martedì faccio le stesse cose, e quando apro il giornale scopro che il problema di ieri è stato superato da notizie che riferiscono di una minaccia terroristica. I telegiornali della sera riferiscono di una campagna contro il gravissimo problema dell'obesità infantile, e affermano che i nostri figli potrebbero essere morti prima di noi a causa di complicanze di questo problema. Probabilmente mercoledì sarà avvenuta una gravissima crisi diplomatica internazionale e giovedì sarà data ampia risonanza a ricerche che indicano l'estrema pericolosità dei cibi geneticamente modificati. Sabato i dati sulla criminalità (percepita) avranno completato il repertorio settimanale di motivi di angoscia. Il punto è che non solo mi sarò preoccupato per una serie di singoli motivi, ma questi motivi, uno successivo all'altro, avranno costruito nella mente uno strato sempre più solido di paura, uno stato di allarme senza soluzione di continuità che mi darà l'impressione di essere prigioniero di un mondo pauroso.
La terza interessante caratteristica della paura dice che la paura stessa è diventata un'ideologia, una prospettiva, o meglio, il principale strumento di una ideologia.
I movimenti politici sono arrivati, attraverso lo spettro psicologico, ad usare la paura come una risorsa culturale da cui possono attingere consenso.
Decine di anni fa, la differenza tra destra e sinistra era ideologica; era molto chiaro che sostenesse la destra e altrettanto valeva per la sinistra. Ai giorni nostri, la sostanziale differenza tra destra e sinistra in tutto il mondo, è data dal tipo di paura che portano alla nostra attenzione: uno ci dice di avere paura dei criminali o degli immigrati, l'altra di temere il cambiamento climatico, l'ambiente o alcune questioni legate alla sanità pubblica.
Così, al posto del confronto sui problemi da affrontare e delle sfide da cogliere nella direzione di una crescita intelligente, il focus è sulle paure, su quale sia l'ordine dei motivi di angoscia della nostra vita privata e sociale e su che cosa dovremmo fare per "sentirci sicuri".
In effetti l'uso della paura a fini politici ed economici non è affatto una novità del nostro tempo: date le caratteristiche proprie di questa emozione, essa è sempre esistita parallelamente al potere. Tuttavia mai come ai nostri giorni, grazie alla efficacia dei mezzi di "informazione", essa è stata così pervasiva e mai in passato ha avuto una propria realtà autoreferente.
La quarta caratteristica è che sfugge a qualsiasi quantificazione (danni incalcolabili...), e alla possibilità che gli effetti di un pericolo (prima ancora che di un rischio o di una minaccia - vedi articolo sulle definizioni .....) siano reversibili.
L'idea di minacce presenti e incalcolabili forma il paradigma di paura che prevale all'interno della nostra società. E quando c'è l'idea della incalcolabilità delle minacce allora non se ne conosce neanche la natura. Inoltre, quasi ogni singola minaccia globale di cui leggiamo è collegata ad un pericolo irreversibile. Ci hanno detto che, a causa dei pericoli reversibili, queste sono minacce che non possiamo prepararci a fronteggiare nel momento in cui le vediamo, ma dobbiamo fare qualcosa adesso. Questo si chiama approccio precauzionale al pericolo. Quindi nel caso dell'Iraq, la tesi fu: non possiamo aspettare che vi sia una pistola fumante, perché se aspettiamo quel momento vuol dire che dopo sarà troppo tardi. Una paura essendo così incalcolabile, ci da il diritto a prevenire queste cose, muovendoci subito: allora si parla di guerra.
La paura preventiva diventa la moneta di scambio giornaliera del dialogo pubblico.
Non parliamo di questo solo in relazione ad argomenti che riguardano il mondo intero, ma incontriamo anche minacce intime e personali. In Europa adesso si dice che se un bambino soffre, o ha un'esperienza negativa, quell'esperienza rovinerà il bambino a vita. Dobbiamo perciò fare qualcosa, non possiamo aspettare. In Inghilterra, i bambini vengono fasciati in alcune scuole prima di farli giocare, e non vengono fatti agitare troppo, per evitare che si facciano male. Quindi rimangono in classe, invece di andare giocare fuori.
La quinta caratteristica della paura è costituita dal fatto che essa viene deliberatamente coltivata
La persona che vive nella società occidentale appartiene sempre ad una delle varie categorie di vulnerabilità: i bambini sono vulnerabili, gli anziani sono vulnerabili, le donne sono vulnerabili, i disoccupati sono vulnerabili, i lavoratori dipendenti sono vulnerabili, i professionisti, i disabili, gli imprenditori, gli adolescenti, chi ha attraversato una malattia, chi vive in zone sismiche, chi vive in climi caldi, chi vive vicino a corsi d'acqua, chi vive al freddo... Tutti sono fragili. Tutti hanno bisogno di garanzie per sopravvivere. Tutti sono indotti per un motivo o per l'altro a cercare aiuto dallo Stato, dalle istituzioni, dalla polizia, dal ... Grande Papà, per vivere. Tutto questo è cosa ben diversa dallo stato sociale e dalle giuste misure di protezione di una società civile: questo è avere convinto generazioni intere della propria impotenza, della propria incapacità, della propria mancanza di risorse. Come? attraverso numerose strategie, tutte collegate fra loro dal fil rouge della paura.
Il termine "sicurezza" allora riguarderà le donne che sono capaci di disinfettare il bucato e di proteggere i loro bambini dai germi, riguarderà gli alimenti sicuri, il dentifricio che protegge, il poter contare su deodoranti che non macchiano gli abiti, il SUV, simboli di stato sociale che permettono di sentirsi adeguati... praticamente tutto il mondo della pubblicità gioca su inadeguatezza/vulnerabilità e sicurezza/riconoscimento sociale.
La sesta regola della paura risiede nel fatto che nella nostra società la paura possiede un intenso carattere privato e individuale.
Nelle precedenti esperienze storiche, le persone avevano paura insieme. La paura univa la comunità contro un pericolo più o meno concreto.
Vivere una paura da soli, in modo privato e individuale, è un'esperienza molto più difficile da gestire. In un mondo di individui, anche le paure sono individuali. Poco importa se il vicino di casa vive i nostri stessi timori: non lo sappiamo e ciascuno vive la propria angoscia. Anzi, presupponiamo che gli altri stiano meglio di noi e questo alimenta invidia, ostilità, mancanza di solidarietà.
Alla fine, la settima e forse peggiore caratteristica della paura contemporanea, che ne riassume alcune altre, è il fatto che non siamo più capaci di fidarci di noi stessi, sia come individui che come collettività. Abbiamo paura di non essere capaci di affrontare la vita e i suoi eventi, abbiamo paura che chi ci sta intorno possa costituire una minaccia per la nostra integrità, abbiamo paura del genere umano, "ormai diventato cattivo", capace solo di conflitti, di distruggere l'ambiente, di sfruttare gli altri...
Dopo questa escursione nel pensiero di Furedi, che definirei, per quanto illuminante, di per sé "portatore di paura", vorrei proporre la riflessione su tre risorse che, forse, opportunamente coltivate, possono fare breccia in questo cupo scenario:
1) la responsabilità. Perché è l'unico comportamento capace di richiamare la delega del controllo sulle nostre vite che in qualche imprecisato momento abbiamo consegnato ad altri.
2) la resilienza, ossia la capacità (e la consapevolezza di essere capaci) di fare fronte agli eventi della nostra vita, di non essere "vulnerabili", di tollerare e superare le avversità.
3) la bellezza, in ogni senso, portatrice di coraggio e di risorse. Non è casuale che l'umanità la abbia perseguita attraverso tutto il corso della sua storia e non è un caso che proprio oggi se ne sia perduto in gran parte il senso
Frank Furedi, How Fear Works: Culture of Fear in the Twenty-First Century