Ripensare la città



"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà"
(P. Impastato - giornalista, ucciso dalla mafia)


"Lo spazio urbano rappresenta uno fra gli scenari principali dei fenomeni criminali; infatti, nel territorio cittadino, si sviluppano fenomeni indicativi della genesi e della spiegazione dei comportamenti criminali e del controllo sociale. All’interno della relazione esistente tra criminalità, ambiente fisico e percezione di sicurezza, una rilevante importanza è data alla progettazione degli spazi urbani, in quanto un’attenta organizzazione dal punto di vista architettonico e urbanistico può incidere positivamente sulla riduzione del sentimento di vulnerabilità e, in alcuni casi, contribuire alla riduzione degli episodi di criminalità. È necessario dunque, al fine di limitare la commissione di crimini e i sentimenti di insicurezza (o solamente la percezione) avvertiti dai cittadini, un approccio multidisciplinare alle problematiche delle nostre città: l’architettura, l’urbanistica, il diritto, la sociologia, la criminologia, possono, insieme, dare vita a tavoli di studio per intervenire in modo incisivo nelle nostre città." (E. Bianchini - S. Sicurella, Rivista di Criminologia Vittimologia e Sicurezza, n.1/2012)

Aggressioni notturne, furti in appartamento, rapine, pirati della strada, scippi, tifoserie ultras, violenze sessuali, racket, usura, bullismo. Sono le voci del nuovo dizionario della paura metropolitana, o meglio i pericoli percepiti dal cittadino.
Ricerche e sondaggi riferiscono il paradosso secondo il quale i timori degli italiani urbanizzati sono cresciuti nonostante i dati del ministero dell’Interno confermino che i reati diminuiscono.
Difficile dire se le città italiane siano più insidiose di un tempo, ma di certo è aumentata la domanda di sicurezza da parte di chi vi risiede.
Il 45% degli italiani vive ormai in zone ad alta urbanizzazione, in metropoli che per loro costituzione producono un fabbisogno aggiunto di safety e security, essendo attive 24 ore su 24.

Percezione da una parte e pericolo reale dall’altra. La partita della sicurezza si gioca nel rapporto complementare dei due termini. «Impossibile vincerla, se non la si affronta nella sua complessità, rispondendo tanto al rischio effettivo quanto alla paura di essere vittima di un fatto deviante, sia esso reato od episodio di inciviltà – afferma Daniela Stradiotto, direttore reggente del Servizio controllo del territorio della Dac, Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato – ed è un dato ormai acquisito l’esistenza di un rapporto di stretta correlazione fra indici di sicurezza e qualità della vita. Tutto ciò che va a incidere sulla quotidianità, determinando modifiche agli stili di vita del cittadino, si traduce in una contrazione del diritto alla libera partecipazione ai diversi contesti sociali (professionali, familiari, sportivi) con evidente pregiudizio della qualità della vita. (approfondisci in Psicologia della sicurezza)

Agire sulla qualità della vita, quindi, significa attuare tre condizioni:
1) intervenire per garantire la comunicazione e gli scambi fra le persone (comunicazione fisica e virtuale);
2) assicurare il rispetto della diversità all’interno degli aggregati sociali, garantendo una reale integrazione, multifunzionale e multiculturale; (*)
3) realizzare l’identificazione del cittadino con il territorio in cui lo spazio pubblico non sia più una realtà astratta ma un “qualche cosa” che viene vissuto come proprio».

«Affrontare i problemi di sicurezza delle città si traduce nell’attivazione di metodologie di approccio integrato capaci di mettere in campo,
1) il momento della repressione della criminalità
2) i programmi di prevenzione situazionale
3) pianificazioni a più lunga scadenza di prevenzione sociale.

Per ciò che riguarda la prevenzione situazionale, settore in cui le forze di polizia devono interagire con le altre istituzioni in una logica di partecipazione, è necessario arricchire il fronte preventivo con metodologie di studio ed interpretazione del territorio capaci, da un lato, di individuare rischi immediati per la collettività e, dall’altro, di anticipare i problemi di sicurezza con un approccio proattivo, tendendo cioè ad anticipare la domanda di intervento con soluzioni globali e durature.

La riqualificazione dello spazio urbano, infatti, mettendo in moto la riappropriazione del luogo pubblico quale “prolungamento ideale del salotto di casa”, attiva quel processo di rafforzamento del sentimento di appartenenza collettivo che innesca un circuito virtuoso nel processo di produzione della sicurezza».

La sicurezza dipende anche
1) dal modo in cui sono progettate e costruite le città
2) dal modo in cui i cittadini si identificano con il territorio in cui vivono
3) dal modo in cui gli spazi urbani vengono curati e sorvegliati

I primi ad accorgersene furono gli statunitensi che già alla fine degli Anni ‘70 dovettero affrontare le violenze dilaganti nelle loro metropoli. E spinsero per la promulgazione di una legge che rappresentò una svolta sul concetto di prevenzione perché mise l’accento sull’influenza dell’ambiente nella tendenza dei soggetti a delinquere. Washington fu il banco di prova delle nuove teorie e la strategia funzionò. Così l’esperienza americana produsse, attraverso l’analisi del criminologo Paul Jeffrey, del sociologo Oscar Newman e dell’antropologa Jane Jacobs, una disciplina dalla sigla impronunciabile: CPTED (Crime prevention through environmental design), in altre parole l’elaborazione di una serie di indicazioni per la progettazione urbana e residenziale della città con criteri di prevenzione del crimine.

Mentre in passato progettava ex novo e provvedeva all’allestimento fisico, adesso l’urbanista è chiamato a gestire il presente, ovvero a trasformare gli insediamenti e gli impianti viari esistenti spingendo sulla “riqualificazione” della città, sulla necessità di far tornare le piazze ad essere luoghi di identità collettiva, di coesione tra gli abitanti, che un tempo vi giocavano a pallone o a carte». A rafforzare il concetto, le parole di Daniela  Stradiotto che collegano il senso della comunità con quello della legalità: «L’insicurezza individuale porta a chiudersi in casa, a vivere le strade come luoghi pericolosi, rifugiandosi in forme di anonimato ed irresponsabilità. Fondamentale quindi intervenire sulla rivitalizzazione delle strade».

Che gli interventi ricompositivi siano la giusta strategia per rendere più serena la vita di rioni storici e periferie ne è convinto pure Fabrizio Battistelli, docente di Sociologia della sicurezza all’università La Sapienza di Roma: «Non funziona blindare alcuni quartieri né demandare ai singoli individui il compito di proteggere i propri beni creando case-fortezze ed equipaggiandole con la moderna versione tecnologica dei fili spinati. Quando la sicurezza è un bene acquistato privatamente non si rafforza il senso di tranquillità dei cittadini. Allo stesso modo è poco efficace applicare misure segregative, come i muri o le recinzioni, perché hanno effetti positivi solo nel breve termine» (un esempio di ambiente aperto ma protetto si può trovare nel quartiere Meridiana di Casalecchio di Reno).(***)

La sorveglianza naturale.
Clara Cardia (già assistente di Oscar Newman alla Columbia University e attualmente responsabile del Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza del Politecnico di Milano) parla di sorveglianza naturale: «La pace della città, come sostiene Jane Jacobs, non è garantita in prima istanza dalla polizia, anche se la polizia è necessaria; è garantita da un’intricata e quasi inconscia rete di controllo volontario esercitata dalla popolazione stessa sui propri quartieri, quel tipo di sorveglianza naturale che i cittadini possono attuare vicendevolmente sui punti critici». Ad esempio, se un parcheggio o un’uscita della metropolitana sono collocati in un luogo su cui si affacciano palazzi residenziali e negozi, e dove la visuale non è occultata da alberi o siepi troppo alti, la presenza stessa di una persona affacciata al balcone o di clienti di un bar funge già da sola da deterrente. In molti casi si può ipotizzare anche l’aiuto della tecnologia.

Il principio di sorveglianza naturale viene, però, inficiato spesso da barriere architettoniche. Quindi diventa necessario rimuoverle per fornire una visibilità ampia allo skyline del quartiere. Esempio lampante è stato l’abbattimento dei Ponti del Laurentino 38, quartiere di estrema periferia romana. I cosiddetti Ponti, infatti, non erano altro che dei passaggi pedonali coperti e sopraelevati che, nell’intenzione dei progettisti, dovevano permettere comodi attraversamenti da un edificio all’altro, ma nel tempo si erano riempiti di tranelli per chiunque vi transitasse ed erano diventati un ricettacolo di alloggi provvisori abusivi e pericolanti, senza norme igieniche, dove vivevano persone in stato di forte disagio sociale.

Quartiere Laurentino 38
due video da una inchiesta di La Repubblica
Barucci, l'architetto del Laurentino 38: "Hanno tradito il mio progetto"
"Maledetti quei ponti"

Qui uno dei video linkati sui ponti del Laurentino
(aggiorna pagina se non visualizzi entro 5 secondi)



Gli esperti del Cpted, però, ammoniscono: ascensori dai vetri trasparenti, sottopassi con telecamere, taglio delle siepi, eliminazione dei vicoli ciechi, illuminazione multipla e differenziata delle strade non compiono miracoli, se non si riesce a sviluppare l’identificazione degli abitanti con il proprio territorio. Progettare zone residenziali che si trasformano ben presto in quartieri-dormitorio, pensando unicamente a risolvere i problemi abitativi, è estremamente deleterio. Un quartiere vissuto anche di giorno, fornito di giardini, centri culturali, attività commerciali, servizi, piazze quali punti d’incontro e socializzazione, diventa automaticamente un quartiere più amato e curato dall’occhio critico dei suoi cittadini.

Nel nostro Paese l’approccio Cpted ha stentato, però, a decollare. «Mentre le forze dell’ordine sono interessate a queste nuove modalità di prevenzione – sostiene la Cardia – la comunità degli urbanisti è molto chiusa, così come gli Uffici territoriali tecnici vivono l’intersettorialità e l’interdisciplinarietà come un’ingerenza nel loro lavoro.
Nel Regno Unito esiste l’obbligo di ottenere una “certificazione di sicurezza” del progetto urbanistico, la Sbd (Secured by design); mentre il governo tedesco ha promosso una serie di ricerche sulle nuove tecniche di prevenzione, dalle quali sono derivate direttive alla polizia per interagire meglio con le comunità dei distretti cittadini.

Finalmente notizie positive sono all’orizzonte anche per l’Italia. «Su nostra iniziativa – dice con un pizzico di motivato orgoglio la responsabile del Laboratorio del Politecnico – ha preso vita un gruppo internazionale per la stesura di un manuale di applicazione della norma europea. Manuale che è stato presentato in quattro lingue, italiano compreso, il 20 giugno scorso a Bologna».

(*) Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, dopo l'attacco terroristico del 22 marzo, ha ricordato come Londra non sia una capitale in cui le diverse appartenenze culturali si "tollerano" le une con le altre, ma in cui sia proprio la coesistenza rispettosa di "diversità" a rendere la città capace di altissima resilienza.

Sintesi e integrazione di articolo pubblicato su POLIZIAMODERNA nel luglio 2008


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Eventi


PERCORSO SITUATIONAL AWARENESS. L'esperienza si svolge in alcune vie del centro storico e ha lo scopo di farci rendere conto di quale sia la nostra percezione dell'ambiente circostante in funzione dello sviluppo della attenzione e della sicurezza personale. L'evento sarà gratuito, previa iscrizione. Informazioni a breve!

Letture consigliate


Kevin Mitnick, L'arte dell'inganno. I consigli dell'hacker più famoso del mondo, Feltrinelli. (Il celebre pirata informatico spiega tutte le tecniche di "social engineering" che gli hanno permesso di violare sistemi di sicurezza ritenuti invulnerabili) Introduzione di Steve Wozniak. Consulenza scientifica di Raoul Chiesa


Antonio Zoppetti, Primo soccorso. Cosa fare (e non fare) nei casi di emergenza, Hoepli (Sapere che cosa fare, e soprattutto che cosa non fare, per soccorrere vittime di incidenti o di un improvviso malore dovrebbe far parte del bagaglio culturale di ognuno di noi. Invece pochi sanno come affrontare situazioni in cui un'azione rapida e corretta può essere determinante per salvare delle vite o ridurre i danni alla salute delle persone coinvolte)

Fabrizio Nannini, Mental survival Psicologia e tecniche di sopravvivenza mentali per affrontare ogni situazione, Hoepli (Manuale pratico di preparazione alle emergenze individuali e di gruppo Vi è mai capitato di percepire un grande rischio o di sentirvi in pericolo? Siete mai stati bloccati dal panico per qualcosa che vi è successo? Vi siete mai trovati in situazioni di grande confusione e avete rischiato di perdere il controllo? Il “mental survival” serve a capire quali sono i meccanismi dietro a questi fenomeni e come imparare a fronteggiarli.)

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